La circostanza per cui le prime cinque lettere del suo cognome corrispondano in danese alla parola “ala” era un buon indizio. Lo era anche – di più – il secondo posto di un anno fa, al termine di una corsa cominciata da gregario. E poi i miglioramenti continui, la fiducia crescente, le intrepide dichiarazioni di intenti.

La diciannovesima tappa è il mattino dopo la sbornia. Cielo grigio (uniformemente grigio), strada piatta (quasi del tutto piatta), stomaci sottosopra (quello di Pedersen quantomeno: lo comunica la Trek-Segafredo alla partenza) e spiriti in cerca della proverbiale quiete dopo la tempesta (metaforica: non piove da Copenaghen).

Sulla maggior parte delle mappe dei Pirenei Atlantici, la Bigorre – Col de Spandelles figura ancora come una strada comunale. Stretto e pendente, impraticabile d’inverno, quel sentiero di montagna è stato per secoli la via d’accesso a una specie di tempio della caccia al colombaccio, le espandèrles del toponimo essendo in lingua bearnese le reti utilizzate per catturare gli uccelli durante la loro migrazione autunnale dalla Francia alla penisola iberica.

È la giornata mondiale degli scacchi e sull'ascesa a Peyragudes il Tour è in stallo. Nessuno dei due giocatori sembra avere altre mosse a disposizione.

Tadej Pogačar, il campione uscente, le ha tentate un po’ tutte: ha chiesto e ottenuto gli straordinari ai compagni ancora arruolabili; ha isolato completamente l’avversario; ci ha provato in prima persona sulla penultima salita. Jonas Vingegaard, lo sfidante in vantaggio, dà l’idea di avere in canna un’altra mossa ma, temendo gli si possa ritorcere contro, la rimanda.

Simile a una buona lettura, il Tour de France è un pretesto per vivere altre vite.

Michael Mørkøv è un pallino solitario abbandonato al suo destino. La grafica lo indica con un numero 3 nel circoletto. Avanza lento sulla mappa della corsa aggiornata in tempo reale, che è anche l’unico modo per sapere se sia ancora in gara, e dove si trovi.

Così anche Michael Matthews ce l’ha fatta.

Ogni giorno in cui arriva la fuga è un giorno buono. Partiamo da questo assunto – dalla certezza s’intende che il successo degli evasi sia sempre un balsamo per i nostri sogni frustrati di ribellione – per riconoscere che talvolta non si può fare a meno di incitare gli inseguitori e, pur senza passare dalla loro parte e spingere insieme a essi verso la ricomposizione dell’ordine costituito, comprendere appieno le loro ragioni, i loro tormenti.

Tra le oltre dodicimilacinquecento coppie che poteva formare combinando i centocinquantanove corridori ancora in gara, il Galibier, romanziere sapiente come pochi, decide di scegliere una delle più curiose, impronosticabili e spiazzanti del Tour de France 2022.

Come molte delle cose che ci rendono più sopportabile la vita, il pomeriggio di ciclismo più luminoso degli ultimi anni comincia con le sagome affiancate di Wout van Aert e Mathieu van der Poel.

Si guardano, si scambiano un cenno d’intesa, poi attaccano: in coppia, al chilometro zero, con la complicità che appartiene solo ai rivali. È un presagio, l’annuncio di una gioia che sarà per tutto il popolo: oggi è uno di quei giorni, oggi si fa la storia. 

Pagine