[Giro 2022] Classifica appunti

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

 

Sono appena rientrato dal mio quinto Giro d'Italia seguito dall'interno, per intero. Rileggo più volte quanto scritto: quinto Giro; dall'interno; per intero.

Cinque Giri sono sensibilmente meno di quelli corsi da Nibali e Pozzovivo (e anche da Dombrowski dell'Astana se è per questo, che ha preso parte alle ultime sette edizioni consecutive, l'avreste detto?). Ma non sono pochi: cinque Giri come Simon Yates (che però due non li ha conclusi, quest'ultimo compreso), uno in più di Hindley (che però uno l'ha appena vinto), addirittura tre in più di Valverde.

Mi fa un certo effetto considerare che da qualche tempo seguire il Giro è diventato più di un passatempo. È una fortuna, un privilegio, ma al tempo stesso l'origine di un dubbio sottile: c'è un limite oltre il quale ciò che abbiamo cominciato a fare per piacere diventa solo dovere? Arriverà il giorno in cui partenze e arrivi mi sembreranno indistinguibile routine, il volo di ritorno durante il quale non sentirò il bisogno di ordinare - per timore di perderli o irrimediabilmente sovrapporli - gli appunti presi nel corso delle tre settimane precedenti?

Verosimilmente succederà, ineluttabile conseguenza del tempo che tutto travolge e tutto stempera. Ma non è ancora successo. Questo significa che anche questa volta ho provato a dare una qualche organizzazione a foto, spigolature e annotazioni sparse che mi sono segnato tra Budapest e Verona: le trovate di seguito.

Significa anche che da qualche parte nei meandri del me-inviato-al-Giro-per-la-quinta-volta resiste il me liceale che nei pomeriggi di maggio studiava poco perché in tv c'era il Giro, e il Giro era il romanzo più avvincente che conoscesse. Tiro un sospiro di sollievo costatandolo, e sono quasi tentato di ribadire quanto affermato da Mark Cavendish, due anni più grande di me, sulle sponde del lago Balaton, dopo la sua vittoria nella terza tappa del Giro 2022, arrivata quattordici anni dopo la prima: «Sono vecchio, ma sono sempre io».

 

*

 

La prima foto che ho scattato

Dentro un anonimo centro conferenze di Budapest, appena atterrato. Un Giro in cui la prima faccia che vedi è quella serena di Tom Dumoulin ha l’aria di essere un ottimo Giro.

Cinque dettagli somatici che ho notato

  •  Il viso di Erik Fetter, esordiente, alla partenza di Budapest: glabro, liscio, lucente
     
  • Il viso di Alejandro Valverde, sempre alla partenza di Budapest: ispido, bruno, ruvido
     
  • Lo sguardo di Alberto Dainese sul podio di Reggio Emilia, con la bottiglia in mano, il giorno dopo il guaio di Girmay col tappo: terrorizzato
     
  • Il profilo di Alessandro Covi, detto puma, lungo la discesa dal Pordoi: felino, agile, imprendibile
     
  • Gli occhi di Lennard Kämna, ultimo uomo della nuova maglia rosa, all'arrivo di Passo Fedaia: smeraldati, liquidi, decisivi

 

Cinque cose buone che ho assaggiato

  • La carpa (non spinata, dunque a me quasi fatale) del lago Balaton
     
  • L’arancino “Felicità” di Famulari, a Messina
     
  • Il liquore al cedro, a Santa Maria del Cedro
     
  • La sfogliatella di Mary, a Napoli
     
  • La farinata dell'Antica Sciamadda, a Genova

 

La seconda foto che ho scattato

Velocista più forte del Giro, ma soprattutto conferenziere senza pari: Arnaud Démare arriva tra i giornalisti e si mette comodo, incrocia le gambe, gomito sul tavolo e via a discorrere amabilmente, argomentando con calma, gesticolando il giusto, ammiccando come una stella della nouvelle vague

Cinque cose belle che ho udito

  • L'urlo tonante e liberatorio di Matteo Sobrero al termine delle sue cronometro
     
  • Le cicale dopo la tappa di Aprica, di notte, alla fine del temporale
     
  • Una canzone di Pino Daniele che non conoscevo in una traversa di via Toledo che non conoscevo
     
  • Il vento tra le fronde a Villa Buzzati, nei pressi dello scalino dove Dino era solito mettersi a scrivere
     
  • Le indicazioni delle maestre di Palù di Giovo, che sotto la pioggia cercavano di far mantenere ai bambini la fila mentre uscivano da scuola e andavano ad attendere il Giro

 

La terza foto che ho scattato

Sono ormai passate le 18, è da poco terminata la lunga sequela di podi, premiazioni e interviste che gli spettano e Juanpe López ha appena chiesto al suo addetto stampa di rimanere un altro minutino sul lungomare Caracciolo a far felici tifosi che invocano selfie e augurano fortune.

Dall'altra parte della strada è già stato rimosso quasi tutto. Monitor, cavi elettrici, tende. È ancora al suo posto la sola cosa cui all'incirca un'ora prima anelava Thomas De Gendt: una sedia. L’ha trovata sotto il gazebo dei giornalisti, davanti a un televisore che mandava in onda il replay della sua esultanza. Alle sue spalle, il golfo di Napoli assolato.

La quarta foto che ho scattato

Poche cose parlano del Giro più delle sedie. Sedie sottratte a un salotto, a una cucina, a un tinello. Sedie orientate per una volta verso qualcosa di diverso da uno schermo. Sedie messe in strada, perché questo è il Giro dopotutto: un gran mettere in strada, o per meglio dire un mettersi in strada, predisporsi al vento che scompiglia e ai clacson che assordano, lasciarsi ibridare da una sorta di passeggera follia collettiva di cui ci si ritrova parte, e dalla quale si confida di essere migliorati. 

Due bellissimi locali sul percorso del Giro

  • Il Ce la diamo a gamberi di Montesilvano (ristorante di pesce, chiuso)
     
  • L’Hard Rocc di Roccamorice (bar sulla salita del Blockhaus, immerso in una fitta nebbia da arrosticini)

 

Un indimenticabile slogan radiofonico

Radio Potenza Centrale: una potenza di radio.

 

La quinta foto che ho scattato

Tsahai, originaria dell’Eritrea, cresciuta in Etiopia, in Italia da più di trent'anni, è venuta a Jesi non appena finito di lavorare in fabbrica. Sperava tanto in una “cosa bella tra tante cose brutte”. Ha comprato una bandiera, l’ha issata su un manico di scopa, ha preso il treno. E poi Bini Girmay ha vinto, ha fatto la storia: “Non ho parole, solo felicità”.

Un pensiero sulla montagna che sarebbe potuto venire da un ciclista ma non è venuto da un ciclista

«Ho bisogno della montagna con i suoi spazi e la sua bellezza. La montagna è luogo di sogni e desideri. Ed è un luogo politico: perché dove le persone portano i propri sogni di felicità lì arriva anche la politica, nel senso più bello di questa parola.»
(Paolo Cognetti, dall'episodio 15 di GIROglifici)

 

Un piccolo gioco enigmistico che ho proposto alla partenza da Ponte di Legno, sotto il diluvio

Completa il modo di dire: Lorenzo bagnato, _______ _________

Due luoghi altamente improbabili

  • L’officina di un gommista di Potenza trasformata in un gigantesco deposito di palloncini rosa, tutti rigorosamente gonfiati con un compressore da pneumatici
     
  • La sala colazioni del Santa Caterina Village di Scalea dove, separati da un tavolo, sedevano i corridori della Ineos e gli iscritti a una convention internazionale di salsa e bachata, mentre in filodiffusione veniva riprodotta la playlist delle hit festive di Michael Bublé

 

Due termini tecnici che ho imparato

  • Tappa popcorn: una tappa in cui tu corridore te ne stai tranquillo in gruppo e ti godi le schermaglie degli altri davanti (locuzione insegnata da Alessandro De Marchi)
     
  • Attacco boomerang: allungo, solitamente in salita, di breve durata, seguito da un inesorabile rientro nei ranghi (rinomato specialista: Guillaume Martin)

 

Due volte in cui mi è venuto parecchio da ridere

  • Quando nella sala dei trofei del Palascherma di Jesi, tutto emozionato, ho chiesto al presidente del club il valore economico di tutte quelle medaglie luccicanti, e lui mi ha candidamente risposto: «Ma guardi che queste sono solo riproduzioni...»
     
  • Quando abbiamo chiesto a João Almeida se, siccome durante l'intervista ci eravamo dimenticati di scattare una foto, potesse far finta di continuare a rispondere, e lui ha cominciato a ripetere parole a caso tipo “pasta”, “pizza”, “spaghetti”.

 

Tre fughe tra tutte

  • quella gloriosamente impossibile di Diego Rosa, tutto solo, lungo la costa dei cedri
     
  • quella orchestrata (o forse no) e risolutiva (certamente sì) di Lennard Kämna il giorno del Fedaia,

e soprattutto:

  • quella impronosticabile di Treviso. Fuga di sognatori e affini, dove i sognatori sono Cort, De Bondt e Gabburo e gli affini erano Affini, Edoardo Affini s'intende, metà uomo e metà stantuffo, un corridore solo e insieme tanti. Fuga utopica, fuga sovversiva, fuga fedele all'ideale. Fuga intimamente operaia, in cui tutti sanno cosa sono i turni, soprattutto Davide Gabburo, che prima di diventare ciclista professionista li faceva sul posto di lavoro, anche di notte, a verniciare sedie e disossar tacchini.

 

Sei tratti caratteriali che un giorno vorrei far miei

  • la certosina pazienza di Jai Hindley, capace di tener buone le sue buonissime gambe fino al momento opportuno, l'ultimo possibile
     
  • la sovrumana iconica testardaggine di João Almeida, quando sembra sul punto di andare in crisi e invece si mette a scalare le montagne del suo passo, tranquillo, testa ciondolante e bocca aperta, e va, assolutamente impassibile rispetto a quanto gli accade attorno, agli scattisti e ai succhiaruote, al caldo e al freddo, del tutto indifferente allo schizofrenico mutare della distanza tra sé e quelli davanti, che infine quasi sempre riduce, contiene, accorcia, al punto che la frase più ricorrente delle cronache giornaliere del Giro non è certo "Attacca la maglia rosa!", ma "Sta rientrando Almeida!"
     
  • la mitologica inscalfibilità di Domenico Pozzovivo
     
  • l'innata bonomia del barista meno giovane del Caffè Parisi di Catania, zona aeroporto, che è solito servire i caffè ai clienti in attesa al banco esclamando non “Ecco” o “Prego”, ma “Il suo desiderio si è avverato!”
     
  • la purissima inclinazione al gioco - in tutte le sue forme, soprattutto quelle più fanciullesche - di quel benemerito generatore di caos che risponde al nome di Mathieu van der Poel
     
  • l’amore per il ciclismo - e per i sogni, e per la vita - di Dries De Bondt, che scherza con compagni e avversari, ride di gusto, considera idolo e fonte d'ispirazione il suo più grande rivale (Oliver Naesen), si ferma con chiunque gli chieda una foto, un autografo o chissà cos'altro. Quasi mai si sente chiamare per nome: non è famoso, se ne parla poco, vince ancora meno. Ma a Treviso ha conquistato una tappa (quella della fuga operaia) che non potrà dimenticare. E non se ne dimenticherà nemmeno Jacopo, giovanissimo ciclista che ha aspettato fiducioso la fine di tutte le interviste per farsi autografare la maglia dal più inatteso degli eroi.

 

Tre gustose scenette che ho sbirciato a bordo strada

  • I tentativi della signora Riccardina di Reggio Emilia, 88 anni, venuta in strada a vedere il Giro perché le ricorda suo marito, di ottenere un gadget del Giro da chiunque avesse al collo un pass rosa, me compreso: «Glielo dica a quelli del Giro che quest'anno son poveretti, non regalano niente...»
     
  • La fruttuosa collaborazione tra una casalinga di Teglio e un poliziotto di servizio causa Giro, con lei che estraeva certe coccarde di nastro rosa da una scatola e lui che prontamente le fissava all'inferriata scura che di lì a poco avrebbe fatto da sfondo al passaggio dei ciclisti
     
  • La sorpresa negli occhi del signor Ermes quando ha scorto una troupe televisiva nel giardino di fronte a casa sua, a Buja. “Quel presentatore lì mi sembra di averlo già visto…”, si è detto. Quel presentatore era niente meno che Alberto Contador, inviato al Giro per Eurosport, così che Ermes a un certo punto si è fatto coraggio, si è avvicinato e gli ha chiesto un selfie, anche se, ha ammesso, “non sono pratico con queste cose”. Alla fine la sua bella foto ricordo l’ha ottenuta: l'ha scattata Contador. 

 

La penultima foto che ho scattato

Tratteggiati a penna, intagliati, stampati a colori. A grandezza naturale, più piccoli di un fermaglio. Sventolati, appesi, fissati a una finestra. Questi squali e squaletti d’ogni foggia sono stati l’unificante costante di undici mesi di maggio italiani. Undici primavere in cui hanno suggerito a statali e stradine di montagna l’aura improbabile di fondali oceanici o mari aperti, nella speranza – da lui quasi sempre realizzata – di far sentire a casa sua l’ospite atteso.

Cosa occuperà tra undici mesi la chilometrica estensione percorsa dagli striscioni inneggianti al vecchio ciclista? Che ne sarà del mercato degli squali gonfiabili, così florido per tre lustri? Dove riporrà, questo ragazzino di Belluno, il suo cartello rosa? Ce l’ha una scatola simile a quella della casalinga di Teglio, un cartone dedicato agli addobbi del Giro da riporre accanto a quello dei festoni natalizi, tra i grovigli di lucette intermittenti?

E cosa succederà al suo cuore quando tra qualche anno – sempre in maggio, il Giro di ritorno e lui più grandicello – ritroverà il cartello del 2022, ricordandosi di quel giorno di festa a scuola, del caldo che faceva, del suo fischietto azzurro e dell’ultimo Giro d’Italia corso da Vincenzo Nibali, meglio noto come Squalo?

L'autoanalisi più severa

«Le mie gambe non erano male, peccato che io abbia corso da stupido.»
(Guillaume Martin a Verona, commentando i suoi infruttuosi attacchi in tappe in cui sarebbe stato meglio rimanere in gruppo)

 

Il complimento più originale

«Se un tipo strano come Jan è riuscito a vincere una tappa, allora tutti abbiamo qualche speranza».
(Barnabás Peák dopo la vittoria del suo compagno di squadra Jan Hirt ad Aprica)

 

La domanda più comune

«Donde?!»
(Oier Lazkano, ansimante, al massaggiatore della Movistar dopo il traguardo, in cerca dell'unica cosa che conta per davvero: il bus della squadra. Domanda condivisa da tutti i corridori del gruppo, declinabile in tutte le lingue del gruppo.)

 

La similitudine più sorprendente

«Pescara, the Italian Miami»
(Jai Hindley in un post Instagram del 2015. Ribadita prima della partenza della decima tappa.)

 

L'ultima foto che ho scattato

Domenica sera, passeggiata notturna in centro a Verona. Sentore agrodolce del Giro appena finito, del ritorno alla realtà, delle notizie brutte che già sovrastano gli ordini d'arrivo, le dichiarazioni dei protagonisti, gli orari di partenza, tutto quel che sembrava essenziale fino a qualche ora prima e che improvvisamente non lo è più. 

Arrivo in Piazza dei Signori, un solo locale aperto. Dentro musica alta, forse un karaoke? All’esterno un gruppetto di amici si gode il fresco di questa notte di maggio. Il più raggiante tra loro è un giovanotto in maglia rosa: la maglia rosa.

 

A cura di Leonardo Piccione. Foto in copertina: Tornanti.cc

 

 

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