[Liegi 2022] Tutto diverso

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    Scalatore da bancone, pistard da divano. Ama il rumore, i bratwurst, dormire e leggere seduto sul water. Ha visto il volto di Dio in tre occasioni: una volta era Joey Baron, le altre due Laurent Jalabert.

A un centinaio di chilometri dal traguardo, prima di risalire la Vallonia lungo la strada più dritta e accidentata, i corridori della Liegi-Bastogne-Liegi numero 108 sono transitati sotto al naso di una coppia di tifosi. Una donna avvolta in una bandiera belga agitata dalla brezza, e un uomo con un grande striscione a due aste, un vecchio lenzuolo bianco con due semplici parole, in stampatello maiuscolo nero: MERCI PHIL. Un'ora e mezza più tardi, i protagonisti della gara sono passati sotto all'autostrada per inerpicarsi sulla Redoute, hanno costeggiato la piazza intitolata a Philippe Gilbert e poi si sono impennati su quella salita che porta il nome del corridore belga tatuato sulla sua schiena, con la regolarità di una piastrellatura. Un PHIL tracciato in bianco sull'asfalto scuro, per 151 volte consecutive, lo stesso numero dell'ultimo dorsale di Gilbert alla Liegi.

Quella tra il vallone e la sua corsa di casa in questo inizio millennio è stata una relazione quasi simbiotica. Al di là di quell'unica vittoria nel 2011, Gilbert ha riscaldato per un ventennio lo spirito dei belgi del sud, così lontani dal fuoco dei dirimpettai fiamminghi. E così assenti dagli ordini d'arrivo che contavano, se non fosse stato per Gilbert, che ha vinto in tutto il mondo, e dove non ha vinto ha attaccato, ha sognato, ha provato. La numero 108 è stata la sua ultima Liegi, e sarebbe stato interessante passeggiare su e giù per la Redoute questo pomeriggio a chiedere cosa succederà tra un anno, quando sarà tutto diverso.

Ma non occorre andare a solleticare i veterani per capire che il tutto diverso in questo ciclismo è una presenza immanente. In uno sport che sta vivendo un ricambio generazionale che non vedeva dal secolo scorso, il futuro è svanito per fare spazio a un presente di pura irriverenza. Così quando Philippe Gilbert perde le ruote del gruppo proprio sulla Redoute, mentre Mikaël Chérel gli assesta una rispettosa pacca sulla spalla e tutto il pubblico declama il suo amore a gran voce, in testa alla corsa, qualche centinaio di metri più vicino al cielo, saetta il ghigno di Remco Evenepoel. 

È in cima alla Redoute, dove secondo Gilbert «di colpo ritorna il silenzio e puoi sentire il battito del tuo cuore» che Evenepoel decide che è ora di girare un po' di pagine. Una pedalata per riprendere Bruno Armirail, l'ultimo dei fuggitivi, e una per ribadire che la Quick-Step è ancora la squadra che fino a poco fa tutti temevano, anche dopo una primavera a secco, anche con Julian Alaphilippe in ambulanza. Una pedalata per allontanare gli inseguitori e una per riunire i tifosi belgi, di qualunque latitudine, che all'insolenza di un ragazzino arrivato ancora adolescente a sfidare le gerarchie del ciclismo non hanno mai fatto del tutto l'abitudine. Fino ad oggi, almeno.

«Una giornata perfetta, la migliore della mia vita in bici», dirà Evenepoel al traguardo, il più giovane vincitore di una classica monumento negli ultimi 53 anni. Il primo belga a vincere la Liegi dopo Gilbert, che quando Remco è nato era già all'ultimo anno delle superiori. L'ultimo corridore a vincere la Liegi davanti a Gilbert, arrivato quasi otto minuti più tardi, salutando e ringraziando. Il prossimo corridore a vincere la Liegi planando direttamente dal futuro, che poi non è altro che il presente, arrivato in anticipo.

Testo: Filippo Cauz. Foto in copertina: Tornanti.cc

 

 

 

 

 

 

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