Tour Musette 2022

Venerdì pomeriggio prende il via la Grande Boucle e per l’occasione torna un classico di Bidon, la Tour Musette, un virtuale sacchetto dei rifornimenti contenente tante borracce quante sono le probabilità che associamo a ciascuno dei favoriti, da un minimo di 1 a un massimo di 5. Cin!

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In fuga; in solitaria; per distacco. Dal vasto campionario delle espressioni ciclistiche e non solo, scegliete voi la terminologia che più vi aggrada per definire la dimensione di Tadej Pogačar: favorito, strafavorito, diciamo pure predestinato alla vittoria della Grande Boucle 2022.

Talmente netto pare il suo vantaggio, che nel nostro sondaggio redazionale ha raccolto il massimo dei voti da tutti gli elettori: media di cinque borracce su cinque. Viene facile immaginare che sarebbe andata allo stesso modo se il sondaggio fosse stato allargato a tutti gli appassionati di ciclismo, agli spettatori casuali, ai passanti, a chi guarda il Tour de France solo per appuntarsi il numero a cui ordinare le collezioni di monete in edizione limitata.

Paventare una "non vittoria" (che per una volta potrebbe proprio chiamarsi sconfitta) di Pogačar a questo Tour suona quasi come un'eresia, e si sa che agli eretici in Francia le cose non sono mai andate granché bene. Le ultime settimane sono ruotate tutte intorno a questa pazza idea. Cosa può intromettersi tra Pogačar e la sua terza maglia gialla consecutiva?

Lasciando perdere imponderabili accadimenti come cadute, tamponamenti e tamponi, gli indizi più concreti convergono tutti sulla meteorologia e sulle imboscate. Il primo caso è legato all'emergenza climatica che sta scuotendo il mondo. Come si comporta Pogačar con il caldo? E con il caldo estremo, che potrebbe attanagliare il Tour, specie nella terza settimana sui Pirenei?

Sappiamo con buona certezza che lo sloveno dà il meglio di sé quando gli avversari soffrono pioggia e freddo, e sono state proprio le giornate roventi quelle più "difficili" per lui la scorsa estate. Certo il fatto che anche in quelle giornate abbia spadroneggiato o poco meno fa pensare che no, il caldo non sarà un problema.

E le imboscate? La prima settimana di corsa, tra vento, pavé e côtes sembra in effetti disegnata da una squadra di vietcong, ma il problema delle imboscate è che poi bisogna trovare chi le faccia.

Nel dubbio, intorno a Pogačar è stata messa insieme una grande squadra, con un Rafał Majka divenuto quasi più compagno di giochi che gregario, solidi scalatori come George Bennett e Marc Soler e alleati come Marc Hirschi e Mikkel Bjerg su cui contare nella prima insidiosa settimana (ma sul pavé si sentirà la mancanza di Matteo Trentin, estromesso dal Covid). Si tratta indubbiamente della migliore UAE tra quelle viste nelle sue scorribande francesi. E se già senza una squadra del genere Pogačar vinceva con facilità... (Filippo Cauz)

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In questo piccolo nostro gioco, la messa in comune delle borracce non è data. Le 3,5 associate a Primoz Roglič e Jonas Vingegaard si intendono individualmente assegnate: presi singolarmente, i due corridori della Jumbo-Visma hanno, ad oggi, più di una borraccia di distacco da Pogačar, che ne becca 5 piene. Ciascuno di essi sembra, in altre parole, chiaramente sfavorito rispetto al vincitore uscente.

Il ciclismo tuttavia ha poco a che spartire con questo nostro gioco, e l’inusuale circostanza per cui la seconda fascia di favoriti sia occupata da due corridori della stessa squadra non può non lasciar filtrare la speranza che i pronostici possano essere ribaltati. Dunque se la domanda più impellente alla vigilia del Grand Départ è “Dove e come Pogačar può perdere questo Tour?”, la seconda è “Dove e come Roglič e Vingegaard possono vincerlo?”. In che modo, cioè, i due ‘grandi amici’ (parole di Vingegaard) possono mettere in comune le rispettive borracce, così che il fatto che 3,5 più 3,5 faccia più di 5 si traduca in superiorità sulla strada e, in ultima analisi, in una maglia gialla a Parigi?

Prerequisito fondamentale è la reale volontà di uno dei due di sacrificarsi per il compagno: tutto (soprattutto l’ultimo Giro del Delfinato) lascia pensare che questa sia ben viva in Vingegaard, che nonostante la maggiore freschezza e la sensazione di non aver ancora svelato tutti i picchi delle proprie possibilità (quelli di Roglič sono ormai ben noti) pare almeno inizialmente l’indiziato a mettere in secondo piano certi pruriti personali per favorire il primo capitano.

E - occhio - le più concrete speranze del danese di migliorare il secondo posto del 2021 forse risiedono esattamente nella possibilità di sfruttare a proprio vantaggio la rivalità e l’eventuale reciproco controllo tra i due sloveni, cioè di imbastire il contropiede vincente nel 2 contro 1 che verosimilmente caratterizzerà buona parte delle tappe di montagna del Tour 2022.

Non è detto che basti, nel senso che è tutt’altro che remoto uno scenario in cui Pogačar decida di muoversi costantemente per primo, staccando a pie’ pari i due Jumbo ogni volta che può e di fatto annullando la loro superiorità numerica.

Ipotizzando questo scenario, allo squadrone olandese rimarrebbe da sperare che la propria maggiore potenza complessiva (e un Van Aert pienamente recuperato) possa produrre qualche grattacapo a Pogačar non tanto in salita quanto in mezzo al vento del nord. Se avverrà, avverrà nella prima settimana di Tour, che anche per questo potrebbe risultare - ce lo si augura - alquanto gustosa. (Leonardo Piccione)

 

Se il distacco tra il super-favorito e i suoi sfidanti giallo-neri (o quale che sia l'improbabile scelta cromatica della Jumbo per questo Tour), pure quello tra questi ultimi e i loro immediati inseguitori - che siano essi per il podio o per una vittoria che pare già veleggiare nel mondo dei sogni - non scherza affatto.

Le ragioni per cui nessuno dei componenti di questo strano terzetto ha raggiunto le tre borracce piene si possono ritrovare soprattutto scorrendone i curriculum. Con i loro 26 anni di media, Vlasov, Martínez e Mas sono tre che fino a qualche anno fa avremmo collocato nella categoria dei giovani, tanto che uno solo di loro (Mas, alla Vuelta, per due volte) ha già provato l'ebbrezza del podio in un grande giro.

Eppure, in un Tour che parte con un re designato ma che diverrebbe apertissimo nel remoto caso in cui non dovesse tenere saldo lo scettro, ecco rientrare questi tre (e le loro squadre, a diversa intensità di ambizione) tra i profili più indicati per la rivoluzione.

Aleksandr Vlasov è dovuto andare a sbattere contro il Covid per interrompere le gioie di una stagione che sembrava averlo visto finalmente al salto di qualità. Affiancato da una Bora scopertasi corazzata al Giro (occhio alla presenza del gregario/MVP/talismano del Giro 2022 Lennard Kämna), Vlasov sembra avere pochi punti deboli, e forse soltanto i chilometri a cronometro lo vedono chiaramente inferiore ai rivali. Riuscisse a conquistare un gradino del podio, romperebbe l'embargo che vede in Denis Men'šov l'ultimo russo sul podio di Parigi.

Era il 2010, e fu anche l'anno di nascita della Sky, squadra che da allora e per un decennio ha rappresentato il faro a cui guardare al Tour e nei grandi giri in generale. Basti pensare che solo nell'anno di esordio e nel 2014 i britannici non sono riusciti a vincere nemmeno un grande giro. Finora, almeno, perché questo 2022 non li vede di certo favoriti in Francia, a prescindere dal numero di capitani in squadra. Il più quotato è Dani Martínez, che da übergregario vuole trasformarsi in leader. I piazzamenti ottenuti in stagione sembrano confermare la bontà delle sue intenzioni: dovrà stare attentissimo nei primi giorni, poi sperare che anche questo luglio le alte montagne di Francia si trasformino un po' in Colombia.

Da uno squadrone all'altro, nei bus della Movistar pare siano stati ormai allestiti degli altarini votivi per Enric Mas. Starà al maiorchino, infatti, raggranellare punti a sufficienza per scongiurare l'inusitata retrocessione della squadra più antica del ciclismo professionistico. Seppur avaro di exploit spettacolari, Mas è il corridore più solido di questo terzetto: da quando è passato alla Movistar, due anni fa, non è mai finito oltre il sesto posto in un grande giro. La sua sagoma è attesa nel gruppetto dei migliori quando la selezione lo ridurrà all'osso, che questo basti a tamponare la sicura emorragia di secondi a cronometro è tutto da vedere. (Filippo Cauz)

 

Una discreta ovvietà vuole che, alle feste di nozze, gli occhi siano tutti per gli sposi. Ma il Tour è un matrimonio un po’ particolare: dura più di venti giorni e non è sempre il consorte in pectore a coronare il suo sogno.

Al tavolo degli sposi di questa edizione, si è già detto, siedono Pogačar e mademoiselle Grande Boucle. Poi tre pretendenti di belle speranze. La sala però è zeppa anche di personaggi che, con più o meno fortuna, hanno flirtato con l'ambita donzella negli anni precedenti, e che vorrebbero piratescamente farle cambiare idea all'ultimo momento disponibile. Piano già di per sé molto complicato, ma mai dire mai. Noi nel dubbio abbiamo assegnato due borracce a tutti loro.

Geraint Thomas è l’unico di questo lotto ad aver già vinto la corsa, sebbene il 2018 sembri appartenere a un’era geologica piuttosto remota. L’avvicinamento è stato fatto per bene e si è concluso con il consueto, apotropaico, taglio di capelli pre-partenza. Non è detto che basti a farne il capitano di un’affollata Ineos.

Sfogliando l’album dei ricordi è impossibile non imbattersi poi nell’espressione da sfinge di Nairo Quintana, fissa come un presagio. Promesso da sempre, senza mai riuscire a quagliare il sogno d’amore. Anche quest’anno a inizio stagione ha regalato la consueta partenza bruciante: non un dettaglio che ultimamente gli abbia consentito di fare la voce grossa al momento giusto.

Spazio anche ai due eterni delfini di Francia Thibaut Pinot e Romain Bardet, protagonisti di bei sussulti in questa stagione, con il ritorno alla vittoria per il primo – Tour of the Alps e Giro di Svizzera – e l’ottima forma mostrata dal secondo a un Giro abbandonato prematuramente. Starà a loro decidere che tipo di partita vogliano giocare con i rivali più accreditati: tappe, pois o nuovo, improbabile, sogno di podio? 

Discorso non troppo dissimile per Damiano Caruso, che dopo l’exploit al Giro 2021 torna a misurarsi con il Tour (senza fare troppi calcoli, ufficialmente), mentre almeno in partenza appare ben più delineata la situazione di Ben O'Connor (AG2R Citroën), unico corriore in questa fascia di favoriti a non essere mai salito sul podio di un grande giro ma anche il più giovane e in crescita, reduce da un quarto posto finale nel 2021 e chiamato all'ardua impresa di provare a migliorarlo.

Non ci resta che metterci comodi e spiare discretamente per capire se qualcuno di loro riuscirà in extremis a salire i gradini dell’alt… del podio di Parigi.  (Michele Polletta)

 

Come ogni anno il mazzo di favoriti alla vittoria finale è ricchissimo e, tra questi, è affollato il parterre di nomi che, inclusi per blasone o per stato di forma attuale, restano piuttosto lontani dalle concrete possibilità di affermazione finale. Non più di una borraccia per tutti loro.

I motivi sono i più disparati: ci sono corridori che hanno in squadra compagni sulla carta più titolati, come può essere il caso di Jack Haig (che condivide gli oneri di classifica, in casa Bahrain Victorious, con Damiano Caruso), oppure di David Gaudu (per il quale bisognerà verificare se la Groupama-FDJ ritaglierà un ruolo da battitore libero o se deciderà di tenerlo a disposizione di Thibaut Pinot).

Altri si trovano immersi in squadre a molte punte, e anche qui potrebbe essere complicato trovare lo spazio per emergere: questa la situazione di Adam Yates, allineato tra Martínez e Thomas.

Riguardo Alexey Lutsenko (Astana), le perplessità riguardano le reali possibilità di migliorare il buon piazzamento dell'anno scorso (settimo), mentre se Guillaume Martin (Cofidis) vorrà migliorare il suo (ottavo), dovrà affinare ancora un po' la sua capacità di entrare e uscire di classifica grazie a fughe da lontano pazzerelle, alle quali ci ha abituato nei suoi recenti tentativi.

Restano le "borracce alla carriera": era quasi impossibile escludere da questo novero glorie quali Jakob Fulgsang (Israel - Premier Tech) e Rigoberto Urán (EF Education). Due cagnacci che staranno attaccati all’osso il più a lungo possibile, verosimilmente senza azioni eclatanti ma con tanto cuore.

Con questa ultima carrellata è proprio tutto: santé, et vive le Tour! (Michele Polletta)

 

 

 

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