Classifica appunti del 26 maggio 2021

 

Una serie di appunti presi durante il Giro d'Italia 2021 da Leonardo Piccione e riproposti senza particolare ordine. Elenchi, pensieri, foto e stralci da un viaggio al seguito dell'edizione 104 della Corsa Rosa.

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L'essenziale è invisibile agli occhi e stavolta anche il tappone del Giro, affidato in esclusiva alla fallibità della voce, alle grane grosse della trasmissione orale, alla parola incontestabile di chi c'era, di chi garantisce di aver visto - ma l'ha poi visto per davvero? 

Deposta per un pomeriggio la tirannide delle immagini, la tv manda in onda uno show surreale, anacronistico, antitelevisivo per definizione. Le telecamere fisse trasmettono a rotazione, per ore, primi piani di donne di Cortina al telefono, bimbi che salutano e uomini che reggono ombrelli arcobaleno, nient'altro, nell'attesa che gli aggiornamenti al telefono degli inviati in moto interrompano come oracoli gracchianti il flusso di parole di circostanza di cronisti chiamati a un titanico esercizio di astrazione.

Cosa succede in una corsa che c'è ma non si vede? Che forma ha la pedalata di Bernal, che incrinazioni la faccia di Yates?

Ci arrivano immagini in diretta da Marte ma non dal passo Giau, il ciclismo soffre di misteriose interferenze di altre epoche e sotto questo gazebo, oltre le transenne che percorrono Corso Italia, aspettiamo che appaia il ciclista che ci assicurano essere davanti a tutti. Lo speaker promette un'altra volta che sta arrivando, ci sporgiamo, eccolo.

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Tre suoni percepiti distintamente negli ultimi giorni:

- le indefesse campane del duomo di Palmanova, che entrano in azione tutte le mattine alle 7:30 ma la domenica molto più spesso, per la precisione ogni quarto d'ora, alternando rintocchi sfusi a sequenze di note più elaborate, come quelle di Fra' Martino campanaro, l'allegra melodia che mi ha svegliato prima delle 8 nel giorno in cui avevo programmato di dormire un po' di più;
- gli scrosci, tutti gli scrosci di questo Giro ma in particolare i più recenti, la violenza delle catinelle rovesciate sull'arrivo di Gorizia e la pervicacia dei goccioloni che hanno risciacquato più del dovuto le Dolomiti nel giorno in cui avrebbero dovuto splendere;
- il silenzio infine, quello di un lunedì mattina ad Arabba, fuori stagione, il Giro a riposo, l'albergo mezzo vuoto e la testa pure.

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La decima foto che ho scattato durante questo Giro (e il mio ingenuo proposito di due settimane fa): «Che bello vado al Giro, tre settimane in Italia in piena primavera, una scorta di sole e caldo prima di tornare su.»

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Le parole sono importanti, i simboli contano, i colori pesano, Egan Bernal lo sa e imbastisce la sua svestizione. Tira giù la cerniera della mantellina, che per qualche secondo gli svolazza ai lati con un che di supereroico, dopodiché - prese le misure dell'operazione - se la sfila con perizia, senza dare nemmeno per un istante l'impressione del fallo, dell'inciampo che sovente si annida nell'atto di appallottolare l'infido indumento e riporlo in tasca.

Bernal possiede il senso dell'equilibrio, oltre che della storia: appare sul traguardo integro, smagliante, con l'abito buono in bella mostra e le braccia tutte aperte. È fatto di carne e pietra, è scolpito e disegnato, è redento e redentore.

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Una spiegazione sintetica data da Bernal sulla sua celebrazione sulla linea d'arrivo, definita da egli stesso "doverosa":

«Non tutti i giorni si vince. Non tutti i giorni si vince in maglia rosa.»

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Un modo irraggiungibile di raccontare una tappa del Giro corsa col tempaccio:

«La tappa di oggi non è da buttare via. Benché piovesse a dirotto - non più ridenti prospettive di campi al sole, ragazze a braccia nude, assalti ai secchi d'acqua disposti ai bordi della via, ma sterminati allineamenti di lucidi ombrelli, viscidi asfalti, goffa trasformazione dei ciclisti colle mantellinette impermeabili che al vento si gonfiavano in mostruose gobbe - è stato un continuo zampillare di fughe.» (Dino Buzzati, citato in conclusione della sedicesima puntata di #GIROglifici2021)

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Una citazione con cui chiudere:

«Hemingway amava il ciclismo, di un amore più intimo che pubblico. Era riuscito a raccontare la guerra, di uomini che schivavano corna di tori, di pescatori che seguono il più grosso marlin dell'Atlantico. Provò molte volte a comporre un racconto sul ciclismo, ma fu costretto ad ammettere che era impossibile "scriverne uno bello quanto le corse stesse".» (dal pezzo di Riccardo Spinelli pubblicato oggi sul sito del Giro).

 

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Puntate precedenti:
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02 - 10 maggio
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A cura di Leonardo Piccione. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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