G102T13 Pinerolo - Ceresole Reale
Se Il’nur Zakarin avesse tenuto lo sguardo basso, avrebbe osservato distintamente i rivoli d’acqua fresca che tagliano gli ultimi tornanti verso Lago Serrù. Piccoli fiotti che attaccano dal vertice alto di un tornante - quello meno esposto al sole - e scivolano sull’asfalto fino al suo punto più basso, dal quale per mezzo di salti più o meno decisi si guadagnano la parete di roccia e, da lì, i prati, uno dopo l’altro, fino a valle.
Gli scrosci dei muri di neve che fondono al ritmo della primavera sono il più riconoscibile tra i suoni di questo angolo di (Gran) Paradiso. Se Zakarin avesse prestato ascolto avrebbe distinto l’acqua, e se avesse tenuto lo sguardo basso l’avrebbe vista. Invece in salita di rado si ascolta e ancor più raramente si guarda - tantomeno verso il basso. Sulle salite come l’ultima della tredicesima tappa del Giro il contorno è esclusiva dei tifosi e delle tv. I corridori odono senza ascoltare e guardano senza osservare; adocchiano al massimo chi gli sta davanti o accanto, magari dietro. Quando le cose vanno particolarmente bene, non scorgono nessuno.
Zakarin non ha nessuno intorno a sé mentre guada i torrentini che tagliano gli ultimi tornanti. Ha lo sguardo alto - quella è la posa naturale di chi pedala in salita - ma non si cura dei denti di roccia che lo accerchiano, né delle poiane che gli volteggiano sopra o degli stambecchi che gli zampettano ai fianchi. Zakarin ha lo sguardo fisso sulla prossima curva, poi sullo striscione dell’ultimo chlilometro, poi sulla vittoria di tappa. Sul balzo in classifica generale che ha fatto, sulla maglia rosa che presto proverà a sottrarre al buon Polanc.
Nemmeno Mikel Landa ha compagnia sull’ultimo spezzone di salita. Carretero e Amador l’hanno scortato fino a che hanno potuto, poi l’hanno lasciato solo tra i tornanti. Landa assomiglia a luoghi così: il Giro scala il Nivolet per la prima volta, ma lo stile di quelli come Landa sembra appartenergli da tempo immemore. Appartengono alle montagne la leggerezza e il coraggio - quello di Mollema, per esempio, che scala un altro po' la classifica al termine di un attacco talmente rischioso da sembrare improbabile; impossibile, senza Brambilla e Ciccone.
Salgono Zakarin, Landa e Mollema, e salgono anche Majka e, soprattutto, Carapaz. Scende ancora il deluso e deludente Yates, mentre Roglic e Nibali restano dov’erano - cioè nella posizione dei favoriti. Giocano a un gioco pericoloso: lasciano andar via tutti i rivali e rimangono a guardarsi in cagnesco fin sotto il podio di arrivo. Qui per ultimo sale Pavel Sivakov: indossa la maglia bianca di miglior giovane di fronte a un orizzonte ostruito dai 43 metri di cemento della grande diga sul fiume Orco. Sulla diga del Giro 2019, dopo dodici giorni d'attesa, hanno cominciato ad aprirsi evidenti crepe. Presto i rivoli d'acqua diventeranno fiumi in piena. (LP)
PS - Di questo e altro parleremo tra un po' nel nostro podcast notturno "Giroglifici - un programma tutto da decifrare". Non sappiamo ancora quando, ma se ci seguite a un certo punto vi manderemo tutti i link.
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