[LetteraTour, Tappa 7] Quattro fuggitivi al Tour

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

Il resoconto della settima tappa del Tour de France 2023, a cura di Leonardo Piccione, è accessibile oggi a tutti i follower di Bidon, anche quelli non abbonati a LetteraTour. I pezzi precedenti - e tutti i prossimi - si possono leggere registrandosi qui

 

Erano quattro fuggitivi al Tour, e volevano cambiare il mondo. Magari non il mondo: diciamo la giornata, la settimana, nel migliore dei casi la stagione. Simon Guglielmi dell’Arkéa, Nelson Oliveira della Movistar, Mathieu Burgaudeau della Total e Jonas Abrahamsen della Uno-X. Si parlava in profondità di anarchia e di libertà: tra una borraccia e un gel, tiravano fuori i loro perché (Perché siamo andati in fuga oggi?) e proponevano i loro farò (Farò uno scatto nel finale per essere eletto miglior combattivo!).

Erano tre fuggitivi al Tour, Jonas Abrahamsen si è rialzato subito. Si può fare molto pure in tre, mentre gli altri se stanno al coperto. Si parlava in tutta onestà di sacrifici e solidarietà: tra una seconda borraccia e un altro gel, tiravano fuori i loro perché (Perché tutta ‘sta fatica il giorno dopo i Pirenei?) e proponevano i loro però (Però, se quelli dietro sbagliassero i conti e ci lasciassero andare…)

Erano due fuggitivi al Tour, Nelson Oliveira ha capito di non averne voglia. I più forti però sono quelli che insistono, non serve mica essere in tanti. Si parlava con tenacità di speranze e possibilità: tra un integratore e un nuovo gel, tiravano fuori i loro perché (Perché continuare a sperare in un miracolo?) e proponevano i loro sarà (Sarà, ma a me l’idea di rimanere qua davanti continua a stuzzicarmi…)

È rimasto un fuggitivo solo al Tour. Gli altri sono tutti quanti in gruppo. Nemmeno Mathieu Burgaudeau si è lasciato sedurre dalle sirene dell’utopia: adesso Simon Guglielmi non ha nessun altro con cui fantasticare del calice di Bordeaux che berrà oltre un traguardo dove certamente non passerà per primo. C’è da sperare che negli auricolari gli facciano sentire quella canzone di Gino Paoli, almeno lì a un certo punto arrivano quattro ragazzini a far compagnia all’avventore solitario.

Solo un cameraman dà retta a Guglielmi, perché non ha niente da fare. Lui gli spiega che oggi non dovrebbe avere problemi a vincere il traguardo volante: nella tappa di Bilbao, il giorno del suo ventiseiesimo compleanno e della sua prima fuga della vita al Tour de France, era arrivato secondo.

Se la ride, Guglielmi. Ha nello sguardo l’illibatezza di chi non ha mai vinto una corsa e la precarietà di chi realizza di essere in via di estinzione. Certe fughe, in certi giorni, sembrano non interessare più nemmeno agli sponsor. A Guglielmi sì: nel diario che compila ogni giorno per Le Dauphiné libéré fa spesso riferimento al tempo. A quanto in fretta passino i giorni al Tour: solo sette giorni fa il sogno più grande della sua carriera non era ancora cominciato e tra appena due settimane sarà finito. «Abbiamo già superato i Pirenei», ha scritto nella pagina di ieri. «Alla fine passa tutto in fretta».

Guglielmi si è sciroppato centotrenta inutilissimi chilometri di transitorio piattume perché, come a tutti coloro che non riescono a ignorare il ticchettio dei giorni, gli preme come prima cosa non avere rimorsi. Ha insistito a suonare il violino sulla bagnarola che si era rivelata la fuga iniziale e in cambio ha ricevuto che i fiumi di persone a bordo strada tra Mont-de-Marsan e Bordeaux sapessero perfettamente che il vagoncino rosso davanti al resto si chiamava Simon.

L’approssimarsi del traguardo volante di Grignols riduceva a meno di un minuto il vantaggio di Guglielmi, ma gli assegnava in compenso un paio di strumentisti: Pierre Latour e Nans Peters, ingolositi dal vento a favore e da un finale di percorso un po' più tecnico. Adesso erano in tre a ballare l’hully gully, ma questa è un’altra canzone e un’altra storia, finita (senza Guglielmi, staccatosi sull’unica salitella di giornata) a quattro chilometri e mezzo dal traguardo, quando il peloton convinceva anche Latour a desistere.

Con le cattive, lo convinceva, ovverosia schierando in testa i soliti sospetti di fughicidio: Declercq della Soudal, Van Gils della Lotto e Hermans della Alpecin, la squadra di Philipsen, che poco più tardi, in volata, si faceva bastare un Van der Poel meno preciso del solito (si è spostato troppo presto) per portare a tre il suo bottino di tappe. È la terza vittoria in tre volate di gruppo e ha il sapore dolce dell’infallibilità, della crosta di caramello intorno ai canelé di Bordeaux.

Secondo è arrivato Cavendish, mai così vicino all’agognato record, che aveva provato ad anticipare tutti sulla destra ed è stato fermato da un dispettuccio della Storia (e da una catena bizzosa, come ha spiegato). Terzo Girmay, al primo podio al Tour. Giorno di semi-riposo invece per Van Aert, Pogačar e Vingegaard, il quale, al termine di una di quelle giornate torride che tanto ama, ha espresso il desiderio che continui a far caldo: se bazzicherà il pianeta Terra nel prossimo futuro, verrà ampiamente accontentato.

Buon quarto, infine, Luca Mozzato, velocista dell’Arkéa e compagno di squadra di Simon Guglielmi. Quando è salito sul podio per ritirare il premio di combattivo di giornata, il savoiardo era raggiante: «Un'altra simpatica giornata passata in fretta», ha scritto sul diario. Non avrà cambiato il mondo, ma per stavolta va bene così.

 

 

Foto in copertina: Pauline Ballet / ASO

 

 

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