[Kings of Bidons] Awet Gebremedhin

Rivendendo 14 bottiglie di birra vuote raccolte in giro, Awet Gebremedhin guadagnava 1 euro. Era il 2016, si trovava in Svezia da un anno e mezzo e la sua seconda domanda di asilo era stata appena accettata. Nei mesi precedenti aveva vissuto a casa di conoscenti, in mezzo a continue complicazioni: «Gli anni peggiori della mia vita. Trasferirmi in Europa era l’unico modo per diventare un corridore, ma non immaginavo sarebbe stato così difficile». Non sapeva nulla della Svezia. Ci era arrivato a fine 2013 al termine di un viaggio cominciato a Firenze, fuggito dall’albergo della nazionale di ciclismo eritrea, con la quale aveva appena corso il Campionato del Mondo Under 23.

«In Eritrea molti hanno quest’idea che tutto quello che c’è fuori dal nostro Paese sia Italia. Che tutta l’Europa sia Italia». Invece Awet va in Svezia. Impara la lingua e vende bottiglie, ne vende così tante da mettere insieme 2000 euro in poco più di un mese. Riesce a comprarsi una mountain bike, un paio di scarpette e un casco, e ricomincia ad allenarsi. La prima bicicletta l’aveva avuta a dodici anni, gli era servita per coprire la distanza tra scuola e casa (15 chilometri) e per vincere le prime corse (5, nel 2007). A Kakebda, Eritrea meridionale, la famiglia Gebremedhin vive in una piccola fattoria dove Awet e i suoi otto tra fratelli e sorelle sono cresciuti insieme a mucche, pecore e galline. Solo una delle sorelle ha raggiunto Awet in Europa, il resto della famiglia continua a vivere in Eritrea. Awet lì non può tornarci, ma parla spesso al telefono coi suoi, «anche se costa moltissimo». Manda loro periodicamente del denaro.

Oggi Awet viene pagato non per raccogliere bottiglie ma per distribuire borracce: «Allo scorso Giro dell’Austria ne ho trasportate 16 contemporaneamente». Da tre anni è tornato ad essere un corridore, prima nella squadra olandese Marco Polo, composta da soli rifugiati, poi nella spagnola Kuwait-Kartucho e, dalla stagione scorsa, nella Isreal Cycling Academy. Ha 27 anni e ufficialmente è un ciclista professionista svedese: insieme alla nazionalità ha ottenuto anche un secondo cognome, e sugli ordini d’arrivo appare come Gebremedhin Andemeskel. Ieri è arrivato penultimo per via di una caduta, ma oggi assicura di stare meglio.

La terza tappa del Giro si corre interamente in Toscana, la terra dove Awet ha disputato la sua prima competizione europea in assoluto e da dove è partita la sua lunga fuga. Sorride molto e non sembra emozionato. Dal collo gli pendono un crocifisso e una medaglietta di San Michele: «Perché tutti abbiamo bisogno di un angelo». La borraccia lo fa pensare all’acqua, e l’acqua lo fa pensare alla sua mancanza: alla siccità che una decina d’anni mandò in crisi la fattoria di famiglia; alla disidratazione che lo obbligò a ritirarsi al Mondiale di Firenze. E ora? «Ora sono felice di aiutare i miei compagni di squadra. Nessuno può sopravvivere con una borraccia sola». (LP)

 

 

 

Categoria: