[Liegi 2023] Le lunghe attese finiscono in modi diversi

I due duelli sono terminati quasi contemporaneamente, verso l'ora di pranzo, in modi molto diversi di quanto ci si sarebbe potuti immaginare. Se il primo si è svolto là dove avrebbe dovuto, alle porte del centro di Liegi, l'altro è terminato parecchio in anticipo sulla tabella di marcia, in una stradina nei boschi tra Bertogne e Trouhérol, prima ancora di arrivare al giro di boa della classica con andata e ritorno.

Demi Vollering ed Elisa Longo Borghini – il duello sorprendente – si sono rincorse e scambiate, sfidate e studiate, e poi aspettate, a lungo, lungo, lungo, in una sfida che pareva uscita da uno di quei thriller psicologici in cui non si fa altro che attendere, senza che sia detto che poi qualcosa accada. A un certo punto, sulla Quai des Ardennes, qualcuno avrebbe potuto ipoteizzare che la volata non sarebbe arrivata mai, e le due avrebbero tagliato il traguardo così, appaiate, guardandosi. Non è successo: nelle stelle nascoste dai nuvoloni di Liegi c'era scritto che questa primavera doveva avere il sorriso e la commozione di Demi Vollering, che su sette gare disputate tra marzo e aprile ne ha vinte cinque.

Da qualche parte, lassù, ci doveva essere scritto anche che l'altro duello non s'aveva da fare. Pure Remco Evenepoel e Tadej Pogačar – il duello previsto – si sono aspettati a lungo. Sette mesi dall'ultimo incrocio, il mondiale australiano; quattro da attendere per il prossimo, il mondiale scozzese. In mezzo hanno fatto altro – per lo più vincere corse in bicicletta, il loro passatempo preferito – rinunciando a dedicarsi troppe attenzioni reciproche. Non si sono guardati negli occhi, non si sono parlati, sicuramente si sono pensati. Ma le lunghe attese finiscono in modi diversi, talvolta non finiscono. L'attesa dello scontro tra titani si è tramutata in una serie di scontri più banali: una buca contro una ruota in carbonio (quella di Mikkel Honoré), un ciclista contro un altro (lo stesso Honoré, contro Pogačar), infine entrambi contro la terra, che è lì che si finisce sempre.

Così il duello finito ancor prima di cominciare è coinciso con il rullaggio e poi il volo di Evenepoel, il secondo consecutivo sulle strade della Doyenne, che chilometro dopo chilometro, sollevando solitario gocce di pioggia, uniformava il bianchissimo dei suoi pantaloncini al cielo uggioso. Trenta chilometri di inquadrature personalizzate e primi piani, per dare ai telespettatori il tempo di ammirarlo in ogni particolare, di leggere ciascuna delle numerose scritte che ne affollano il petto, di misurarne ogni muscolo, di indovinarne i labiali mentre parla alla radiolina. L'attesa hollywoodiana di un duello mancato si è trasformata così nell'ormai consueta attesa evenepoeliana: quella per il secondo classificato. Catapultato in un ciclismo di oggi che assomiglia sempre un po' di più a quello di ieri, quando i grandi campioni vincevano tutto e vincevano sempre, Evenepoel ha fatto della solitudine il suo blasone. Quando balla, Remco balla da solo.

 

Testo: Filippo Cauz
Foto: Tornanti.cc

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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