[Nazionali 2022] Raffiche di Bora e altre meraviglie

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

Sì è appena conclusa la settimana dei campionati nazionali di ciclismo. Si tratta – se seguite questo sport il giusto lo saprete – di una delle settimane più importanti della stagione. Quanto meno da un punto di vista cromatico, diciamo così. 

L’assegnazione dei titoli nazionali stabilisce infatti quali saranno, per i successivi dodici mesi di competizioni, i corridori più riconoscibili del gruppo: quelli che, in virtù del successo ottenuto in un pomeriggio di fine giugno mediamente non troppo epico, godranno per un anno del privilegio dell’unicità, del gusto orgoglioso di sfoggiare una maglia inconfondibile, non necessariamente più bella ma di certo diversa da tutte le altre, in un universo di divise per lo più anonime. 

Oltre che importante per gli estimatori di drappi e pantoni, è anche una settimana di assoluto valore per gli amanti delle statistiche bizzarre, degli exploit imprevedibili, delle dinamiche di corsa dette ‘anarchiche’. Ed è per questa ragione che ci incarichiamo ancora una volta della missione di sintetizzarne gli eventi fondamentali.

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Cominciamo dalla gara in linea slovacca, nota anche come ‘corsa di quartiere della famiglia Sagan’. Per il secondo anno consecutivo, l’ottavo in tutto, è toccato a Peter. Prese in considerazione le quattro vittorie di Juraj (ieri partito ma non arrivato), si tratta del dodicesimo titolo consecutivo per i fratelli, che dal 2011 si rimpallano ininterrotamente lo scettro. A cronometro ha vinto invece Ronald Kuba davanti a Lukas Kubis, due corridori simili in molte cose (soprattutto nel cognome) ma non nella voce Wikipedia, che Kuba non ha e Kubis invece sì. 

Sempre in fatto di cognomi simili – anzi proprio identici – facciamo un salto in Giappone, dove Arashiro (Yukiya, il leggendario Yukiya Arashiro, 37 anni e mezzo, già campione nel 2007 e nel 2013) ha battuto nella corsa in linea un altro Arashiro, il decisamente meno leggendario Yudai, nessuna parentela con Yukiya e nessuna vittoria da professionista.

Mini saga familiare in evoluzione anche in Sudafrica, dove Reinardt Jense van Rensburg si è imposto nella prova in linea dopo cinque anni. Sesto è arrivato il fratello maggiore Jacques, a sua volta campione nel 2015, che secondo le fonti disponibili si è ritirato dal ciclismo nel 2019 ma che evidentemente continua a disputare i campionati nazionali (era stato 19° l’anno scorso).

Di nuovo in Europa, Scandinavia nello specifico, patria del welfare state e dei grandi favoriti battuti da bravi comprimari. In Danimarca Alexander Kamp ha avuto la meglio su Mads Pedersen; in Norvegia Rasmus Tiller su Alexander Kristoff; in Svezia Lucas Eriksson su Tobias Ludvigsson.

In Finlandia non c’erano grandi favoriti e così dopo quattro anni ha rivinto Anders Bäckman, 36enne della IBD Cycling, squadra sponsorizzata da un'associazione che contrasta le patologie infiammatorie dell’intestino. Notevole la composizione del podio (nel senso proprio della struttura che lo componeva).

Infornata di campioni under 25 nelle gare in linea di quattro potenze del ciclismo. Hanno vinto, in ordine sparso: un ’97 in Colombia (Sergio Higuita), un 2001 in Spagna (Carlos Rodriguez), un altro ’97 nei Paesi Bassi (Pascal Eenkhoorn) e un ’99 in Italia (Filippo Zana, protagonista della fuga vincente di Alberobello e anche della circostanza più unica che rara che vuole che i nuovi campioni italiani in linea e a cronometro siano quattro persone diverse ma con lo stesso nome al maschile e al femminile: Filippo – Ganna oltre a Zana – ed Elisa – Longo Borghini e Balsamo).

Non hanno compiuto trent’anni nemmeno i nuovi campioni su strada di Belgio (Tim Merlier) e Francia (Florian Sénéchal). Più clamoroso, rimanendo in Francia, il risultato della prova a cronometro, vinto da quello stesso Bruno Armirail escluso il giorno prima dalla selezione della Groupama-FDJ per l’imminente Tour de France in quanto ritenuto non in condizione.

Raffica di Bora in Austria: non un’anomalia meteorologica ma l’autentico tornado con cui gli uomini in verde hanno travolto la gara in linea, piazzandosi in cinque nelle prime cinque posizioni. Vittoria andata a Felix Grossschartner, ufficialmente per concedergli la gioia di fare doppietta col titolo a cronometro, ma più probabilmente in quanto corridore con più lettere “s” nel cognome (la “s” di Sieg, cioè “vittoria” in tedesco).

Prima volta da campione nazionale per João Almeida, che si è imposto in Portogallo nella gara in linea (la cronometro l’ha vinta Rafael Reis); seconda per Attila Valter in Ungheria (sempre in linea, a crono si è confermato Erik Fetter); ottava per Bob Jungels, che è tornato a vincere a crono in Lussemburgo (la gara in linea l’ha vinta Colin Heiderscheid, se non lo conoscevate siete in buona compagnia). 

Difficile dire se la sorpresa più grande della settimana sia stata Bauke Mollema capace di battere Tom Dumoulin nella crono olandese oppure l’exploit di Robin Froidevaux nella gara in linea svizzera. Nessun dubbio invece su chi abbia goduto delle feste di pubblico più calorose: Biniam Girmay e Merhawi Kudus, nuovi campioni eritrei (per Kudus si tratta di un bis: primo titolo nel 2018) rispettivamente a cronometro e in linea.

Chiusura per la gara descritta da chi l'ha vista - non noi - come la più spettacolare di tutte: quella del Regno Unito. Si è tenuta in Scozia, ha piovuto molto e c’era vento forte, però il bello e cattivo tempo l’ha fatto soprattutto Mark Cavendish, che è stato in fuga praticamente tutto il giorno, ha attaccato, riattaccato e chiuso su chiunque, e infine ha dominato uno sprint che spera possa spalancargli le porte di un Tour de France in vista del quale dice di sentirsi persino meglio che un anno fa.

Menzione speciale per il secondo dei battuti da Cav (l’altro essendo il giovane e promettente Sam Watson), il quale risponde al nome di Alexandar Richardson e corre senza squadra. Londinese di 32 anni, ex broker nautico, Richardson ha acquistato la sua prima bici soltanto nel 2015. Dopo aver ottenuto alcuni buoni risultati e mollato il lavoro precedente, si è dato anima e corpo al ciclismo, riuscendo a diventare professionista e correndo per due stagioni (2020 e 2021) nella Alpecin-Fenix. 

Lo scorso novembre, mentre si allenava a Richmond Park, è stato aggredito e derubato della sua bici da due uomini incappucciati, che l’hanno minacciato con un machete di quaranta centimetri. In vista di questa stagione era dunque rimasto senza contratto, ma non senza sogni di gloria. 

Ha scritto su Twitter Alex Dowsett: «È sempre impressionante vedere qualcuno che proviene da una situazione difficile raggiungere la grandezza nel ciclismo. Ma penso sia ugualmente impressionante vedere qualcuno che arriva dall'avere tutto a quella stessa grandezza: ci sono pochi sport più duri del ciclismo, e oggi Alex Richardson ha fatto qualcosa di epico.»

 

A cura di Leonardo Piccione.

 

 

 

 

 

 

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